Santuario S.Maria dell’Arzilla – Pesaro (Pesaro Urbino)



Le prime notizie del Santuario S. Maria dell’Arzilla sono di epoca medioevale. La probabile data di costruzione dell’attuale Santuario è desumibile da una piccola acquasantiera gotica che reca la data 1420 o poco più, dato che l’ultima cifra non è leggibile.

La primitiva cappella che ora funge da sacrestia, ha la forma quadrangolare e pare rifatta in epoca rinascimentale, come testimoniano il soffitto a vele e gli archi esterni dei muri.

Tutto il corpo dell’edificio è in mattoni, per cui si può presupporre l’esistenza di una fornace di laterizi nella zona.

L’interno si presenta ampio a navata unica, con tetto a capanna e abside di forma quadrangolare.
La caratteristica principale di questa chiesa fu quella di “Santuario” al quale convenivano in processione numerosi fedeli da Candelara, Montebaroccio, Ripalta, Saltara, Cartoceto.
Dai reperti rimasti si presume che tutte le pareti fossero state dipinte e ridipinte più volte, anche con sovrapposizioni, nel corso dei secoli XV e XVI.

In S. Maria dell’Arzilla si trovano due pregevoli opere dipinte su tavola: il trittico della scuola di Iacobello del Fiore (1440-1450) e la Madonna della Misericordia di Giovanni Antonio da Pesaro (1462).
Il trittico è anteriore di almeno due decenni rispetto alla Madonna, datata 1462. I santi che compaiono con la Vergine e il Bambino sono S. Antonio Abate, a destra e probabilmente S. Benedetto, a sinistra.

Nel riquadro inferiore centrale S. Nicola di Bari si inginocchia sulla riva del Mare e rivolge gli occhi verso la Vergine col Bambino. Il santo protettore dei naviganti fa da tramite e iconograficamente chiarisce che la Madonna è qui invocata (o ringraziata) come aiuto dei marinai.

L’autore dell’altra tavola dell’Arzilla è Giovanni Antonio (scuola di Gentile da Fabriano) del quale si hanno notizie dal 1462 al 1511 circa. La lunga dedica in lettere gotiche rosse è “Giovanni Antonio Pesarese ha dipinto. Ave Maria. Nell’anno del Signore 1462 il giorno 8 dicembre questa immagine di S. Maria della Misericordia commissionò la comunità di Saltara”.

E’ una rappresentazione di antica religiosità, di devozione verso la Madonna della Misericordia che con veste e mantello arabescati, sovrasta, senza racchiuderla, la folla dell’umanità maschile e femminile, laica e religiosa, accalcata sotto la cupola – mantello.

La Madonna, che conserva la mandorla con il bambino nel petto, allargando le braccia stende il manto che comprende i fedeli assicurando loro protezione, ma che al contempo ne delimita il numero: probabilmente i membri della confraternita della Misericordia (o simile), una cinquantina, rigidamente divisi in maschi, a destra della Madonna, e femmine, inginocchiati ed oranti.

In prima fila sono probabilmente i notabili, gli amministratori, almeno si presume dagli abiti indossati. Ad essi si deve probabilmente la commissione del lavoro del pittore nel 1462. Nell’opera si intravede la figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta detto “il lupo di Rimini”.

Gli affreschi delle pareti sono certamente posteriori alle due tavole, e sono stati scoperti sotto l’intonaco nell’ultimo dopoguerra e sottoposti a restauro tra il 1959 e il 1961, come l’opera di Giovanni Antonio.

Sono riaffiorati brani di immagini del tardo quattrocento e del primo cinquecento, di mano indefinibile.



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